AKA: spunti di Game Design in situazioni di vita reale
Qualche tempo fa, l’intero Team Mònade è stato coinvolto, in maniera completamente volontaria (si fa per dire), in un’attività di gruppo: scrostare la piscina dell’ufficio e ripitturarla, così che sia pronta per quest’estate (hey, sì, abbiamo una piscina!). Così, gambe in spalla, armati di spatola e olio di gomito, un insolito gruppo di designer, programmatori e commerciali si sono trovati infine a condividere, per una volta, lo stesso duro lavoro.
Immagino vi stiate chiedendo: cosa c’entra tutto questo con il game design? E fate bene! Il punto è che, tra un colpo di spatola, una raschiata e uno sbuffo, mi sono ben presto reso conto, che… beh tutto sommato, quest’attività non era poi così male! E non ero il solo a pensarlo: tutti si stavano, in certo qualche modo, divertendo. Così, riflettendoci a mente fredda, ho pensato che questa esperienza potesse essere un ottimo spunto per parlare di un tema fondamentale di game design: Cos’è il divertimento? O più nello specifico…
Come mai è divertente scrostare una piscina?
Perché sfrutta in modo del tutto inconsapevole tre principi cardine di Game Design.
È faticoso, si suda tantissimo, c’è il rischio di scorticarsi le mani, eppure c’è qualcosa in questa attività che la rende divertente per il nostro cervello umano.
Ma facciamo un passo indietro. Per capire cosa renda effettivamente divertente questo lavoro, dobbiamo prima capire in cosa consiste. Cercherò di farla breve, dopotutto questo non è un corso di scrostologia applicata alle piscine. Il fondale di una piscina è semplice muratura, rivestita da uno strato di una particolare pittura idrorepellente, in genere di un colore acceso (rosso, verde o più comunemente azzurro intenso). A causa degli agenti atmosferici a cui è soggetta, soprattutto d’inverno, la pittura tende a staccarsi, a formare bolle d’aria e rigonfiamenti, o creparsi. È qui che inizia il lavoro: per rimetterla a nuovo bisognerà scrostare la vernice vecchia, stuccare il muro per uniformare la superficie e pitturare da capo.
Quindi, cos’è che potrebbe rendere divertente un’attività di questo tipo?
Effetto e ricompensa
Gli esseri umani amano modificare la realtà attorno a loro, soprattutto quando con una loro (piccola) azione ottengono un grande effetto sul mondo, meglio ancora se permanente o a lungo termine. Questo è uno dei meccanismi di divertimento più primordiali, e si verifica di continuo anche nella vita quotidiana.
Non mi seguite? Proviamo con questo esempio: sarebbe più divertente premere un bottone che accende e spegne una lampadina, o quello per far crollare un palazzo in demolizione?
Immagino risponderete la seconda. Eppure stiamo comunque premendo un pulsante. Qual è la differenza? Nel primo esempio premendo il bottone otterrete un effetto semplice, ripetibile e poco appariscente. Nel secondo caso, invece, si otterrà un effetto enorme, difficilmente ripetibile e soprattutto permanente (non esiste il bottone per ricostruire l’edificio). Questo è ciò che si intende per effetto.
C’è però un secondo fattore importantissimo, spesso correlato al precedente, che concorre a creare divertimento. Sto parlando della ricompensa. Svolgere un’attività molto noiosa diventa interessante o per lo meno sopportabile in vista di una grande ricompensa nel lungo periodo. In questo esempio la ricompensa ha un ruolo di catarsi (ho lavorato molto, ma infine vengo premiato). Inoltre piccole ricompense ben distribuite nel tempo possono tenere alta l’attenzione e l’interesse per quello che si sta facendo.
In questo caso specifico: raschiare una superficie non-uniforme fa in modo che il lavoro proceda in modo altalenante. Ci sono dei momenti in cui il lavoro è molto faticoso e ripetitivo, in cui ci si ritrova a grattare centimetro per centimetro lo strato superficiale di vernice. Al contrario, però, nel momento in cui si è in grado di individuare una bolla d’aria, con un pelo di accortezza è possibile staccare un’enorme placca di vernice con un solo colpo. Il distacco della placca crea un grande impatto sulla realtà (effetto), e chi ci stava lavorando ottiene una ricompensa, sia perché si trova un passo avanti alla conclusione dei lavori (quindi: ad ottenere la piscina e poter fare il bagno), sia perché può vantarsi coi colleghi e ricevere apprezzamento o meraviglia (ogni riferimento è puramente casuale).
Sfida
La sfida è un altro dei motori fondamentali per creare divertimento, e ne esistono di diverse forme. La sfida può essere intesa ad esempio come “sfida con sé stessi”, ovvero riuscire a portare a termine un’attività mettendosi alla prova o portando al limite le proprie capacità. Ci si diverte quando finalmente si riesce a imparare una nuova canzone al pianoforte, si riesce a superare un testo o si capisce infine come risolvere un problema annoso. D’altra parte abbiamo la sfida più adrenalinica, quella che include la competizione con gli altri!
In un gioco la sfida è un elemento importantissimo per determinare il grado di divertimento, e va dosata in modo saggio. Ad esempio, se ci si trova ad un livello di sfida troppo impegnativo, c’è il rischio di venir scoraggiati. Al contrario, un livello di difficoltà troppo basso può annoiare.
Tornando alla nostra piscina, seppur non in modo perfetto, possiamo trovare entrambe le tipologie di sfida. La sfida individuale si ha nella ricerca del modo migliore per scrostare più rapidamente: essendo tutti neofiti, ci si ritrova ad imparare il modo migliore per portare avanti il lavoro man mano che lo si fa, arrivando a capire con l’esperienza diretta quando insistere e quando lasciar perdere, o dove sia più probabile trovare uno spiraglio per staccare una placca. La competizione invece… Fin da subito si sono create varie sfide tra colleghi, sia il classico “maschi contro femmine”, sia un più sporadico confrontarsi e misurarsi sui risultati ottenuti, in un clima di scherzosa competizione.
Il Caso
Forse, detta così, potrebbe non sembrare logico, ma il caso può diventare un importante fattore di divertimento. Gran parte dei giochi di carte, per esempio, presentano una componente casuale data dal fatto di mischiare il mazzo a inizio partita. Per non parlare del gioco d’azzardo.
Cos’è che diverte, della casualità? Principalmente tre cose:
- il fattore imprevedibilità: il caso introduce variabilità e rende meno schematici e ripetitivi i giochi. Pensate a giocare a briscola per 20 volte, posizionando ogni carta del mazzo sempre nello stesso ordine. Risulterebbe noioso, proprio perché dopo un paio di partite, tutto saprebbe di già visto.
- Il fattore superstizione: immaginare di poter in qualche modo “pilotare” il caso tramite riti (soffiare sui dadi, stringere il proprio portafortuna, leggere l’oroscopo) o di essere in qualche modo baciati dalla fortuna (o maledetti dalla sfortuna), rende il gioco più divertente e dinamico.
- Il fattore rivalsa: nei giochi competitivi di gruppo, la variabilità introdotta dal caso fa in modo che la vittoria non sia strettamente legata all’abilità dei giocatori, ma che anche un giocatore meno abile possa avere speranza di vittoria. Questo è uno dei motivi per cui alcuni giochi risultano più apprezzabili di altri per persone non particolarmente abili in quel gioco. Ad esempio, difficilmente un giocatore inesperto si divertirà giocando a scacchi con un professionista, mentre è probabile che si diverta con una partita a poker, seppur anche in quest’ultimo ci sia una forte componente tecnica e di esperienza.
Anche il caso è un ingrediente da dosare abilmente: troppa casualità fa percepire il gioco come una perdita di tempo (l’effetto del giocatore sulla partita diventa troppo scarso), mentre nessuna casualità rende il gioco potenzialmente ripetitivo e “tecnico”.
Nel nostro “gioco della piscina”, la casualità è naturalmente presente nell’ambiente di lavoro: Le bolle d’aria non sono distribuite in modo uniforme, e questo fa in modo di alternare momenti in cui si trovano tantissime bolle a momenti più piatti. Questo chiaramente vale anche per la competizione: un raschiatore professionista messo in una porzione di muro con pochissime bolle d’aria potrebbe trovarsi ad essere più lento di un neofita in una zona piena di bolle.
Il videogioco
Ora che vi ho convinti che scrostare piscine è un’attività estremamente divertente (?), vorrei evolvere ulteriormente il discorso. È possibile creare un videogioco usando questa attività come spunto? Proviamoci!
Immaginiamo di voler creare un semplice gioco per smartphone, in cui l’unico input sarà il tocco del dito sullo schermo. Il nostro schermo diventerà il nostro muro e il nostro dito sarà la nostra spatola. Abbiamo capito che l’alternanza tra bolle d’aria e superficie uniforme è la base del divertimento dell’attività originale, e manterremo questo elemento anche nel nostro videogioco. Nella digitalizzazione della nostra idea, però, perderemo per forza alcuni elementi che lo rendevano divertente. Prima di tutto, perderemo il fattore competitivo: seppur potrebbe aver senso introdurre una modalità sfida, gran parte dei giochi hanno bisogno di una modalità single player che sia ugualmente divertente, pena la perdita di una grossa fetta di giocatori. Inoltre, diventando un’attività solitaria, perderemo la capacità del gruppo di fornire una ricompensa sociale mentre si gioca. Infine non avremo neppure il reward a lungo termine, perché completare il gioco non ci farà certo vincere un bagno in piscina! Per compensare, dovremo per forza introdurre nuovi princìpi e idee.
Tornando al nostro gioco, abbiamo il nostro dito-spatola e muovendolo possiamo grattare il muro. Man mano che si gratterà via la vernice, otterremo dei punti in base alla quantità di vernice grattata. Manteniamo il fattore casuale senza particolari modifiche: il muro presenterà in modo disomogeneo delle aree con placche che, se grattate, si staccheranno di botto e genereranno dei punti bonus. Questo compenserà l’assenza di reward da parte dei colleghi e creerà un effetto tangibile e chiaro per il giocatore. Trovare bolle d’aria = Bonus. Semplice! Se però ci fermassimo qui, un giocatore si stancherebbe presto. Questo perché manca un obiettivo a lungo termine.
Perché dovrei giocare questo gioco?
Perché se gratti tutto il muro finisci il livello! Oppure, ad esempio, perché grattando tutto il muro a tempi record, finirai nella classifica dei migliori grattatori!
Questi sono due esempi banali che potrebbero incentivare il giocatore a continuare a giocare.
Ok, abbiamo una meccanica base, un obiettivo a breve termine (i punti e i bonus) e uno a lungo termine (superare il livello o ottenere un best score). Non è ancora sufficiente. Seppur ci sia questa alternanza tra bolle d’aria e parti lisce, l’effetto del giocatore sulla partita è troppo legato al caso e l’azione del giocatore è troppo ripetitiva. Questo potrebbe portare il giocatore a non sentire di essere lui a comandare l’andamento della partita. Il gioco manca di sfida. Per verificare questa ipotesi, basta fare questa prova. Giocare in modo mirato, cercando con attenzione tutte le bolle d’aria, porta forse a risultati nettamente migliori rispetto a giocare muovendo forsennatamente le dita sullo schermo? Se la risposta è no, significa che ben presto il giocatore si renderà conto che il suo effetto sul gioco è del tutto ininfluente. Dobbiamo introdurre un meccanismo di scelta che faccia sentire il giocatore di star pilotando in modo chiaro le sorti della partita.
Proviamo così: si può grattare la vernice in due modi: lento e veloce. Grattando veloce si ottengono punti più rapidamente sulle superfici lisce, ma solo grattando lentamente sarà possibile far staccare le bolle e ottenere il bonus. Le bolle si manifesteranno solo una volta che si sarà iniziato a grattare in una certa area, e il giocatore dovrà essere abile a regolare la sua velocità di movimento per massimizzare i punteggi in relazione ai diversi tipi di superfici. Beh, già più interessante!
Ora abbiamo un gioco che rispetta nuovamente i tre principi di cui abbiamo parlato prima: effetto/ricompensa, casualità e sfida. C’è però un ultimo principio, di cui non ho ancora parlato, che può aiutarci a rendere il nostro gioco davvero divertente. Ora, immaginiamo di sviluppare davvero il gioco che abbiamo appena pensato, concluderlo e infine correre dai nostri amici, dicendo loro: «Ragazzi! Ho appena creato il mio primo gioco! È divertentissimo, si chiama Scrosta-piscina simulator».
Ora immaginate la reazione.
Ecco, questo spiega in breve qual è l’ultimo ingrediente che manca al nostro gioco. Scrostare una piscina non è affatto un’attività che qualcuno potrebbe trovare interessante (seppur abbia appena scritto un articolo tentando di convincervi del contrario…) Alle persone piace fare cose diverse da quello che potrebbero trovarsi a fare quotidianamente e, soprattutto quando stanno giocando, mica vogliono fare un lavoro (e se proprio si tratta di un lavoro, che sia qualcosa di molto diverso dalla loro normalità). Vogliono scalare montagne inesplorate, viaggiare su astronavi, pilotare aerei, comandare eserciti, distruggere palazzi… o almeno, immaginare di farlo! Ecco il punto. Al nostro gioco manca un immaginario interessante.
Ok, ok, niente più piscine. Il nostro giocatore è un archeologo che, armato di frusta e spatola, dovrà profanare la tomba dell’antico re Pdor (figlio di Kmer) e raschiare le mura consumate dal tempo, per rivelare le antiche trascrizioni nascoste, prima che il suo arci-rivale gli rubi ancora una volta la scoperta del secolo. Come vi suona? Forse un po’ cliché, ma indubbiamente più intrigante!
Ricapitolando, oggi abbiamo imparato che il caso, l’accoppiata effetto/ricompensa, la sfida e l’immaginazione sono quattro ingredienti importantissimi per la creazione di un buon gioco. Inoltre abbiamo capito che scrostare piscine è davvero divertentissimo.
Quindi, se l’anno prossimo volete contribuire, unitevi pure: monade.io/careers